Il farro è un cereale molto versatile. La farina di farro può essere usata per fare pane, pasta, focacce, biscotti e torte. Ha la caratteristica di avere un sapore molto più aromatico e delicatamente speziato rispetto al grano. Se lo si usa in cucina, esso assorbe molta acqua, e quindi occorre tenerne conto quando s’impasta.
In commercio è possibile trovare degli ottimi prodotti da forno a base di farro, come biscotti per la colazione, taralli e grissini per accompagnare i pasti. Oppure si può scegliere la pasta di farro, che con il suo sapore aromatico, con note di nocciola e castagna, rappresenta un’ottima alternativa alla classica pasta di grano duro.
Oggi viene riscoperto come alimento pregiato per le sue caratteristiche nutritive e per il suo sapore aromatico. La tendenza è balzata agli occhi anche dei ricercatori. In un articolo apparso sulla rivista scientifica Trends in Plant Science di settembre 2016 i ricercatori Friedrich Longin e Tobias Würschum dell’università Hohenheim di Stoccarda hanno provato a “sollevare un dibattito su uno sfruttamento più olistico delle specie antiche [tra cui il farro] attraverso la loro introduzione sul mercato come prodotti di alta qualità”, secondo la strada già seguita dai grani antichi come il Senatore Cappelli.
Occorre però sempre ricordare che, secondo i dettami del Metodo Nobile, non è la varietà, la razza, ecc. che fanno la qualità che danno il gusto o gli aromi, ma è come si coltiva quel determinato cereale. Se noi forziamo la resa per ettaro, non possiamo aspettarci poi che le farine e i prodotti della trasformazione abbiano particolari doti qualitative: la quantità va sempre a discapito della qualità. Se a un buon bicchiere di vino aggiungiamo acqua….a voi la cocnlusione.
A livello nutrizionale ha più proteine rispetto al grano e contiene metionina, un amminoacido essenziale che si trova in concentrazioni meno importanti negli altri cereali. È ricco di vitamina B, che contribuisce al normale funzionamento del sistema nervoso, aiuta a rendere più belli la pelle e i capelli e, soprattutto, è fondamentale per il metabolismo di lipidi e delle proteine. Ha un basso indice glicemico e importanti proprietà antiossidanti grazie alla presenza di selenio e acido folico.
FARRO MONOCOCCO, DICOCCO E SPELTA
Ma di cosa parliamo quando parliamo di farro? Tecnicamente parliamo di grano e infatti il nome scientifico è per tutti lo stesso (triticum). Non è inusuale leggere grano monococco invece di farro, ma resta lo stesso prodotto. Inoltre le tre varietà (monococco, dicocco e spelta) sono a tutti gli effetti specie diverse che vengono accomunate sotto il termine “farro” per indicare alcune caratteristiche peculiari che le distinguono dal grano.
Il farro spelta, o farro grande, è il più recente dei tre (è coltivato da circa 10 mila anni). È nato dall’ibridazione spontanea tra il farro dicocco e una graminacea selvatica (l’Aegilops Squarrosa). Ha caratteristiche più simili al grano tenero, di cui è un antenato, ed è senza dubbio il meno pregiato.
Il farro dicocco, detto anche farro medio, è coltivato da circa 12 mila anni ed è ancora il farro più diffuso nel Mediterraneo (a questa specie appartiene il famoso Farro della Garfagnana). Si chiama “di-cocco” perché ha due chicchi per ogni spighetta e questo lo rende più produttivo rispetto al monococco. È un antenato del grano duro e ha caratteristiche e usi simili. I suoi valori nutrizionali, però, sono generalmente migliori rispetto al grano e vicini a quelli dei grani antichi.
Il farro monococco, o farro piccolo, è di poco più antico e probabilmente da considerarsi il primo cereale coltivato dall’uomo. Ha un solo chicco per ogni spighetta, per questo è stato via via soppiantato da specie più produttive come il dicocco. Si tratta però di uno dei cereali più unici e ricchi di proprietà nutrizionali, aspetti che ne hanno decretato la riscoperta e il nuovo successo negli ultimi anni.
LA STORIA DEL FARRO
Il farro monococco e dicocco sono le prime piante coltivate (insieme all’orzo) e la loro storia si lega strettamente alla nascita dell’agricoltura. Facciamo un salto indietro, non tanto, diciamo 12 mila anni fa, alla fine dell’ultima grande glaciazione che il pianeta ricordi. In quel periodo le temperature si assestarono intorno ai valori che conosciamo oggi e i ghiacci, ritirandosi verso nord, lasciarono scoperte vaste aree che si riempirono di vegetazione fra cui quella del Caucaso, che avrete sicuramente studiato come Mezzaluna fertile. Qui si cominciarono a fondare villaggi attorno a campi di farro selvatico e pian piano si cominciò a coltivarlo.
Si diffuse rapidamente nel Nordafrica e nell’Europa fino a diventare l’alimento base delle legioni romane nel periodo di espansione che avrebbe portato alla nascita dell’Impero Romano. Era così diffuso che lo stesso termine “farina” deriva proprio da “farro”. Ma più tardi, sempre in epoca romanica, fu sostituito dal grano duro (che discende, come detto, dal farro dicocco) e dal grano tenero (dallo spelta). Fra le zone che continuano a coltivare il farro fin dall’antichità c’è la Garfagnana, ma è un caso eccezionale.
Il grano ha soppiantato il farro perché ha una caratteristica che fa molto comodo agli agricoltori: quando lo si raccoglie i chicchi sono già svestiti dall’involucro glumeale che li avvolge e protegge, mentre nel caso del farro vanno tolti con un passaggio di lavorazione in più. E questo spiega anche il costo mediamente maggiore del farro rispetto al grano.